Il protagonista di questa IV domenica di Quaresima è il cieco nato. Ma cosa precede questo racconto, da dove veniva Gesù? Gesù era salito a Gerusalemme alla festa delle capanne, festa delle tende, festa dell’acqua e della luce. È proprio durante questa festa, quando la spianata del tempio, anche a notte fonda, è illuminata a giorno da torce e bracieri che Gesù, forse, fissando i grandi fuochi accesi esclama: "Io sono la luce del mondo".
Nel Vangelo di Giovanni spesso Gesù prima fa un’affermazione e poi, quasi, la traduce in un gesto. Gesù dice: "Io sono la luce". Ora, lo attende il gesto. Era uscito dal tempio, vangelo della scorsa domenica, dopo un duro scontro. E "mentre passava", è scritto, "vide". Colpisce il verbo: vede, si immedesima, ha occhi di compassione. Se non ci sono in noi fremiti di compassione, il nostro non sarà mai un vedere. Anche se il cieco è ai margini e ignorato, anche se non gli esce più neppure un grido dalla gola, Gesù vede, si accorge, perché a gridare sono i suoi occhi.
E quell’uomo, sui suoi occhi, sente Dio all’opera. Quel Dio che disse: "Sia la luce", che plasmò l’uomo dal fango della terra. Sui suoi occhi sente passare le mani di Gesù, dita e fango insieme. E sente le parole, che lo mandano alla piscina. Da’ fiducia a quella Parola che ancora non fa miracoli e neppure li promette. Gli chiede solo di andare. E lui va’, ancora una volta affidato al suo bastone ma anche affidato alla Parola. Va alla piscina, a lavarsi gli occhi dal fango. Ed ecco, a occhi aperti, "vide".
Era la prima volta che vedeva il colore dell’acqua, lui che per tutta la vita l’aveva solo accarezzata. Leggendo bene questo racconto vediamo che c’è tutta la nostra vita, compreso il tempo difficile che stiamo vivendo. Anche noi non vediamo la fine del tunnel, anche noi non sappiamo. Anche noi, come il cieco nato, siamo invitati a incontrare Gesù: nella preghiera, nella carità, nel desiderio della luce. In questi giorni così drammatici se preghiamo insieme, se ci accogliamo, ci accorgiamo di una luce e una speranza nuova: è lui che ci dà la sua luce. Dopo il miracolo, il cieco nato, affronta un’altra battaglia: contro i farisei che negavano il miracolo, fino al punto di negare la sua cecità; contro i suoi genitori che lo scaricano in modo quasi vergognoso. Pensate che cosa può aver provato mentre li sentiva parlare!
Non dovevano essere felici che finalmente vedesse? Era una vita che non vedeva! Ma lui non ha paura e scopre, poco a poco, la fede, che esprime nell’ultimo dialogo, dopo che è cacciato dalla sinagoga.
Gesù gli va incontro e gli dice: "Tu credi nel Figlio dell’uomo?" e lui risponde: "Chi è Signore perché io creda in lui?". Gli dice Gesù: "Lo hai visto: è colui che parla con te". Gli risponde: "Credo, Signore!". Ora lo vede.
Di lui parlano i suoi occhi aperti. Al termine di questo mese di marzo dedicato a San Giuseppe, affidiamoci a lui che ci mostra sempre il cuore paterno di Dio, fonte di tenerezza, di accoglienza e di perdono.
Patrizia e Alessandro