Papa Francesco, all'Angelus di domenica 2 gennaio scorso, ha voluto spiegare il profondo significato dell'incarnazione di Gesù, a partire dalla frase del Vangelo di Giovanni, cap. 1, v. 14, che si prega sempre proprio all'Angelus:" Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Secondo Francesco questa realtà può sembrare un paradosso, Verbo e carne, due mondi separati perchè l'imagine di Dio, prima di Gesù, era che Dio abitasse il Cielo e l'uomo la terra, lo spirito opposto alla materia. Ma lasciamo la parola al Papa: " Che cosa vuole annunciare il Vangelo con queste polarità? Una cosa splendida: il modo di agire di Dio. Di fronte alla nostra fragilità, il Signore non si tira indietro. Non rimane nella sua eternità beata e nella sua luce infinita, ma si fa vicino, si fa carne, si cala nelle tenebre, abita terre a Lui estranee.
E perché fa questo Dio? Perché scende da noi? Lo fa perché non si rassegna al fatto che noi possiamo smarrirci andando lontani da Lui, lontani dall’eternità, lontani dalla luce. Ecco l’opera di Dio: venire in mezzo a noi. Se noi ci riteniamo indegni, questo non lo ferma, Lui viene. Se lo rifiutiamo, non si stanca di cercarci. Se non siamo pronti e ben disposti ad accoglierlo, preferisce comunque venire. E se noi gli chiudiamo la porta in faccia, Lui aspetta.
È proprio il Buon Pastore. E l’immagine più bella del Buon Pastore? Il Verbo che si fa carne per condividere la nostra vita. Gesù è il Buon Pastore che viene a cercarci lì dove noi siamo: nei nostri problemi, nella nostra miseria. Lì viene Lui." Papa Francesco poi, per convincerci che Dio vuole proprio stare in mezzo a noi, ha trovato un esempio bellissimo, che viene proprio dalla realtà anche visiva che abbiamo avuto sotto gli occhi in tutti questi giorni di feste natalizie, il Presepe.
Ci ha invitato a sostare davanti al presepe (magari ancora non lo abbiamo disfatto) e a guardare dove Dio si è collocato per abitare il mondo degli uomini:tra i pastori che lavorano duramente,vicino a Erode che minaccia gli innocenti, in mezzo ad una grande povertà ... "Pensa alla stalla di Betlemme. Gesù è nato lì, in quella povertà, per dirti che non teme certo di visitare il tuo cuore, di abitare una vita trasandata. È questa la parola: abitare.
Abitare è il verbo che usa oggi il Vangelo per significare questa realtà: esprime una condivisione totale, una grande intimità. E questo Dio vuole: vuole abitare con noi, vuole abitare in noi, non rimanere lontano.
E mi domando, a me, a voi e a tutti: noi, vogliamo fargli spazio? A parole sì; nessuno dirà: “Io no”; sì. Ma concretamente? Magari ci sono degli aspetti della vita che teniamo per noi, esclusivi, o dei luoghi interiori nei quali abbiamo paura che il Vangelo entri, dove non vogliamo mettere Dio in mezzo. Oggi vi invito alla concretezza. Quali sono le cose interiori che io credo che a Dio non piacciano? Qual è lo spazio che tengo soltanto per me e non voglio che lì Dio venga? Ognuno di noi sia concreto e rispondiamo a questo. “Sì, sì, io vorrei che Gesù venisse, ma questo che non lo tocchi; e questo no, e questo…”.
Ognuno ha il proprio peccato – chiamiamolo per nome – e Lui non si spaventa dei nostri peccati: è venuto per guarirci. Almeno facciamoglielo vedere, che Lui veda il peccato. Siamo coraggiosi, diciamo: “Signore, io sono in questa situazione, non voglio cambiare.
Ma tu, per favore, non allontanarti troppo”. Invitiamolo, dunque, nelle nostre "stalle interiori": è un messaggio che spiega molto bene quella "teologia della tenerezza" che secondo Papa Francesco è l'essenza della teologia stessa, come ha avuto modo lui stesso di spiegare:"La tenerezza può indicare proprio il nostro modo di recepire oggi la misericordia divina.
La tenerezza ci svela, accanto al volto paterno, quello materno di Dio, di un Dio innamorato dell’uomo. Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa facciamo, siamo certi che Dio è vicino, compassionevole, pronto a commuoversi per noi.
Tenerezza è una parola benefica, è l’antidoto alla paura nei riguardi di Dio".
Commissione Comunicazione